Quattro piccoli robot cilindrici che giocano a calcio, due contro due, pilotati grazie a un “dna” generato da reti neurali. Con questo progetto i ragazzi del laboratorio di robotica e informatica del liceo scientifico Boggio Lera di Catania andranno alla Maker Faire di Roma, a metà ottobre. Hanno risposto alla call lanciata dalla manifestazione e il loro progetto è stato selezionato.
Un bel “premio”, quanto meno una bella visibilità per questo gruppo di ragazzi dai 15 ai 18 anni – Giuseppe Bisicchia, Michael Vacante, Matteo Parisi, Francesco Marotta, Giulio Pistorio, Francesco Cutore, Luca Greco, Alessandro Maccora, Emanuele Baldelli – guidati dai professori Carmelo Maccora e Massimo Marletta, entrambi insegnanti di Matematica e Fisica, il primo responsabile del laboratorio di robotica, il secondo di quello di informatica. «Da quest’anno, però – dicono – abbiamo deciso di unificare i laboratori, perché robotica e informatica vanno a braccetto: i programmatori si occupano del software per il controllo dei robot, i “meccanici” della parte hardware».
La novità sta nell’idea di usare le reti neurali per il controllo dei robot, in modo da farli muovere imparando dall’esperienza. A proporlo è stato Giuseppe Bisicchia, quinto anno, “veterano” del laboratorio di robotica, che ha trovato il pieno sostegno dei due docenti. I programmatori dunque si sono messi al lavoro in un ambiente di simulazione.
Dalla frontiera neurale del “controllo” dei robot alla loro sostanza, aspetto e parti da assemblare. «Il nostro robot sarà costruito su tre livelli – spiega il professore Maccora, mostrandoci i prototipi in fase di costruzione -. Sul primo livello ci saranno tre ruote direzionali, tre motori passo passo, e verrà montato un elettromagnete per dare il calcio alla palla e un sistema per riprendere la palla (una palla da golf, ndr); sul secondo livello sarà posta tutta l’elettronica, sul terzo ci sono i sensori, telecamere che indicano la situazione di gioco, la posizione di avversari e palla e che sono gestite da un software che gestisce a sua volta il posizionamento del robot sul campo».
La difficoltà sta nel reperire i componenti dei piccoli robot. Non c’è una Miwa che lancia magicamente i pezzi per assemblare in volo il mitico Jeeg-robot, qui vanno comprati uno ad uno. «Ma a Catania è quasi impossibile trovare ciò che ci serve – piega il professore Maccora -. Abbiamo ordinato pezzi dalla Cina, dal Nord Italia, dalla Germania, dall’Inghilterra. Adesso stiamo aspettando che arrivino le ruote. L’unica partnership che abbiamo fatto sul territorio è quella con StM, che ci consente di utilizzare delle componenti elettroniche». Anche i soldini non sono tanti, quindi si utilizza quanto c’è in giro (Arduino) e si spera che la scuola possa dotarsi presto di una stampante 3D che permetterebbe di fabbricare in casa qualche pezzo. Però qui conta anche il percorso formativo, imparare a fare team tra ragazzi che vanno dai 15 ai 18 anni.
«E’ interessante vedere che c’è già una trasmissione del sapere dai più grandi ai più piccoli – spiega il professore Marletta -. Lavorano per competenze, anche formando piccoli sottogruppi. Lo sappiamo, mancano le ragazze, ma forse la robotica non le appassiona molto. Anche alle Olimpiadi di informatica le studentesse sono poche, ma posso dire che quelle che ci sono molto brave». Il viaggio a Roma per la Maker Faire è dunque una tappa di un percorso articolato, visto che il gruppo ha partecipato a competizioni nazionali di robotica, piazzandosi anche ai primissimi posti e puntualmente si concorre alle Olimpiadi di informatica. Maker Faire Roma offre il viaggio solo a pochi, ma è giusto che vadano tutti. Agli altri ci pensano un po’ la scuola e un po’ i professori. Si sa, l’innovazione richiede passione. E anche qualche sacrificio.