Il referendum del 22 aprile: un’occasione mancata

Il referendum è uno strumento democratico che permette ai cittadini di pronunciarsi su una legge proposta dallo Stato. Esso si distingue in base allo scopo: consultivo, per sentire il parere popolare circa una determinata questione politica; confermativo, per richiedere il consenso popolare perché una legge o una norma costituzionale possa entrare in vigore; abrogativo, per abrogare una legge esistente.

Un referendum abrogativo si è tenuto il 17 aprile 2016, riguardante l’estrazione di idrocarburi da parte di trivelle poste entro le 12 miglia dalla costa italiana: erano interessate 92 piattaforme, che estraggono per lo più gas naturale. In questione c’era la durata delle concessioni: il quesito infatti chiedeva di abrogare la norma, introdotta nella legge di stabilità entrata in vigore il 1 gennaio 2016, che permette di estendere una concessione “per la durata di vita utile del giacimento”, cioè per un tempo indefinito. Se avesse vinto il sì, quella frase sarebbe stata cancellata e le piattaforme per lo sfruttamento di idrocarburi o di risorse minerarie avrebbero continuato ad operare soltanto fino alla scadenza della concessione, che ha una durata di trent’anni.
I nostri politici si sono divisi: il M5S, la Lega e la Sinistra Italiana erano favorevoli a votare sì, per aiutare la salvaguardia dell’ambiente.

L’esperienza dei nostri tempi ci insegna che le trivellazioni possono causare inquinamento e avvelenamento della popolazione marittima.
Un esempio concreto è avvenuto il 21 maggio 2015, in California: una “marea nera” ha investito Santa Barbara, con la conseguente morte di molte specie marine e il versamento di circa 80mila litri di petrolio su tutte le spiagge californiane. Una macchia di greggio lunga oltre sei chilometri e larga una cinquantina di metri, secondo quanto riportato dal Los Angeles Times online, ha minacciato le spiagge Goleta Beach e Refugio State Beach. Questo vero e proprio disastro ambientale ha portato il governatore della California, Jerry Brown, a dichiarare lo stato d’emergenza. Leggi l’articolo del Los Angeles Time

A Ragusa, nel 1984, è stata installata una piattaforma, la Vega A, per estrarre idrocarburi; anche lì si è verificata la fuoriuscita di sostanze nocive, il che – secondo la giornalista Maria Rita D’Orsogna autrice di un articolo pubblicato su “Il Fatto Quotidiano” – rende impossibile il totale ripristino ambientale.

Malgrado questi casi di inquinamento, altri politici hanno affermato che avrebbero votato no al referendum: Bersani, D’Alema, Prodi e Brunetta insistevano nel dire che altrimenti sarebbero insorte varie problematiche, come la perdita di posti di lavoro sulle piattaforme.
Questa preoccupazione è tuttavia insensata, dal momento che sulle piattaforme lavorano, fisicamente, poche persone, poiché esse sono manovrate dalla terraferma.
Inoltre i pochi lavoratori delle piattaforme potrebbero essere ricollocati nelle aziende adibite all’installazione di panelli fotovoltaici o di altri elementi relativi alle fonti energetiche eco-sostenibili. Queste finora hanno soddisfatto soltanto il 17.3% del fabbisogno energetico, secondo una stima eseguita dal Rapporto annuale del 2015 (relativo all’attività dell’anno 2014) del Ministero dello sviluppo economico; ma, se venissero adeguatamente finanziate, si potrebbero raggiungere percentuali più significative, usufruendo di una fonte di energia pulita che l’Italia possiede in abbondanza: il sole.

Il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha invitato i cittadini ad astenersi dal votare affinché il referendum non raggiungesse il quorum: ed è andata proprio così, dal momento che la percentuale di votanti si è fermata al 33%.
Ma tale esortazione non era opportuna. Coloro che si limitano a lasciar decidere i politici senza usufruire del proprio diritto di voto sono come gli ignavi dell’Antinferno dantesco, che nella vita non hanno mai preso posizione e sono pertanto molto disprezzati dal poeta fiorentino.