La luce dell’Illuminismo in un’epoca giuridicamente oscura

copertinanessunotocchicaino<<Se sostenendo i diritti degli uomini e dell’invincibile verità contribuissi a strappare dagli spasimi e dalle angosce della morte qualche vittima sfortunata della tirannia o dell’ignoranza, ugualmente fatale, le benedizioni e le lagrime anche d’un solo innocente nei trasporti della gioia mi consolerebbero dal disprezzo degli uomini.>>

Questo passo, estratto dal famosissimo scritto di Cesare Beccaria, rivela grande umanità e grande intelligenza: di certo il periodo in cui scrisse la sua opera influenzò molto l’autore, che si ritrovò a vivere in un contesto storico dove la libertà e l’uguaglianza vengono sentiti come i principi più importanti.

L’Illuminismo infatti nel XVIII secolo si faceva largo in tutta Europa e anche oltre (si pensi alla Dichiarazione d’Indipendenza americana, scritta proprio sulla base dei fondamenti di questa corrente culturale).

Ma proprio perchè c’erano persone, come Beccaria o Verri, che lottavano contro la pena di morte e la tortura, si deve andare oltre l’apparenza rifulgente di luce dell’Illuminismo per indagare sul buio tutto intorno. La legislazione di quel periodo era spietata e contorta, disomogenea, non lineare. Beccaria scrive:

<<Veggiamo gli stessi delitti dallo stesso tribunale puniti diversamente in tempi diversi, per aver consultato non la costante e fissa voce della legge, ma l’errante instabilità delle interpretazioni>>

Come afferma l’autore, i giudici del tempo, che avevano il compito di tener saldo il contratto sociale stipulato con i cittadini e di assicurare alla giustizia chi lo violava, si lasciavano guidare dal loro umore, dal loro rapporto con il condannato, dalla rabbia o dalla pietà, applicando la legge in modo discrezionale e quindi sbagliato. E le punizioni assegnate, dopo quei processi tanto ingiusti, potevano davvero essere appropriate e bilanciate al reato commesso? Beccaria arriva a proporre anche una scala di reati, da quelli meno gravi a quelli che danneggiavano l’intera società, e di conseguenza una scala di pene da infliggere. Tutti i comportamenti che non rientrano in questa ipotetica scala, non possono essere puniti.

Ma punizioni estreme come la pena di morte e la prigione a vita, tanto frequenti, che scopo hanno? Di certo non quello di rieducare il condannato o di reinserirlo nella società, ma piuttosto quello di mortificare e distruggere un uomo. E arrivare alla confessione tramite la tortura? Oltre a non essere umano, non serve ad ottenere alcun risultato. Se l’accusato è innocente, presto o tardi verrà spezzato dalla sofferenza, e confesserà reati che non ha commesso: l’uomo fa di tutto per far smettere il dolore fisico, anche confessare crimini e andare incontro alla morte. E poi, anche se colpevole, con quale crudeltà si tortura un uomo, abbassandosi al suo livello di cattiveria?

Ancora oggi accadono episodi simili, soprattutto nelle prigioni, dove i carcerati vengono colpiti e bastonati dalle guardie. Il fatto che non si sia ancora arrivati in Italia a punire questi crimini deve farci preoccupare molto. Eventi come il “caso Diaz” nel 2001 vanno contro i diritti dei cittadini, dei manifestanti, delle persone che vivono in Italia. La nostra legislazione tutela davvero i nostri diritti naturali?

Beccaria si rivela profondamente attuale nelle tematiche che affronta: è come se contrapponesse il caos, l’anarchia, la crudeltà e la deviazione dalle leggi ad opera delle passioni  all’ordine, alla giusta applicazione della legge, alla regolarità delle punizioni e alla ragione indiscussa.

La mancanza di giustizia o l’arbitrio contrapposti alle regole che stabiliscono principi di condotta capaci di evitare “passioni parziali” ed “usurpazioni particolari”.

La distruzione psicologica di un uomo contro la sua rieducazione.