L’influenza dell’Illuminismo nella legislazione moderna

La necessità di una razionalizzazione della pena e del corpus legislativo si fa centrale nei dibattiti europei soltanto nel XVIII secolo, quando la riflessione illuminista ha rivolto la propria attenzione alle regole giuridiche e alla fondazione di leggi chiare, tali da garantire i diritti naturali di ogni individuo.
La dottrina giusnaturalista, fondata sulla tesi dell’esistenza di diritti naturali e inalienabili, ha ispirato la nascita di documenti fondamentali quali la “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino” e determinato eventi rivoluzionari in ambito giuridico e sociale.

La riflessione degli illuministi parte proprio dalla necessità di difendere diritti imprescindibili come,  ad esempio, il diritto alla vita, e ci si chiede in che modo si potessero garantire, nell’Europa delle monarchie assolute e dei privilegi di classe, proprio a cavallo tra ‘600 e ‘700, tali diritti e la stessa libertà individuale.

La risposta di Montesquieu è netta: “neppure vi è libertà, se il potere giudiziario non è separato dal potere legislativo da quello esecutivo”  egli dice nella sua opera “Lo Spirito delle leggi” contro l’unificazione di tutti e tre i poteri nella figura del sovrano, nella convinzione che, se questo avvenisse, e in effetti questo avveniva quando Montesquieu scriveva, la giustizia non sarebbe più tale perché contaminata dall’arbitrio di un solo uomo.

Stefabo Rodotà, Festival dell'Economia, Trento 2013
Stefabo Rodotà, Festival dell’Economia, Trento 2013

La separazione tra le leggi e l’arbitrio, “grande oggetto polemico, nemico della ragione e degli uomini” (Stefano Rodotà, Prefazione a “Dei delitti e delle pene, ed. Feltrinelli), è una delle molteplici chiavi di lettura dell’opera più celebre di Beccaria, “Dei delitti e delle pene“.
Nel capitolo IV dell’opera l’intellettuale settecentesco dimostra quanto sia particolare, sempre e in qualunque caso, l’interpretazione soggettiva delle leggi sia da parte del sovrano che del giudice.
Nel testo viene portato esempio di come il più delle volte la sorte di un imputato sia determinata  da un’interpretazione errata piuttosto che da una lettura attenta delle leggi.

Da questa considerazione e dalla demolizione del valore dell’arbitrio del singolo deriva necessariamente la teoria della separazione dei poteri fondamentali dello stato, al fine di garantire l’imparzialità totale nell’applicazione delle leggi e delle pene: è il legislatore a stabilire le leggi, e le leggi definiscono le pene e i reati; il magistrato giudica sulla base della legge, e esclusivamente secondo le leggi già entrate in vigore prima del processo; l’organo esecutivo applica le pene secondo i modi espressi dalla legge.

La divisione dei poteri, tanto agognata dagli illuministi, oggi è stata pienamente raggiunta dalla maggior parte degli stati moderni, e la Costituzione italiana risalta come uno dei più importanti esempi di giustizia e imparzialità.

Ma se per Beccaria fondamentale era eliminare la pena di morte, oggi si dibatte sulla concezione della pena come strumento rieducativo e sulla validità dell’ergastolo, al fine di giungere a un sistema di leggi sempre più equo e giusto nel garantire i diritti fondamentali anche ai detenuti.