I cittadini e lo Stato

 

Lo Stato è un accordo tra i cittadini e quindi il suo fine è quello di fare il bene dei cittadini stessi. Per conservare il benessere di tutti ed evitare che qualcuno agisca in nome dei suoi interessi personali a discapito di quelli comuni, lo Stato vara le leggi, le quali devono essere uniche ed inequivocabili. Le leggi quindi non devono essere interpretate in modo arbitrario ma solamente applicate, come afferma Cesare Beccaria: “Non v’è cosa più pericolosa di quell’assioma comune che bisogna interpretare lo spirito delle leggi. Questo è un argine rotto al torrente delle opinioni.”

Ciascun uomo infatti ha il suo punto di vista, ciascun uomo in differenti tempi ne ha uno diverso e se la legge non fosse chiara, la sua applicazione sarebbe  il risultato di una buona o cattiva logica di chi emette il giudizio.

Il potere di applicare le leggi deve essere affidato alla Magistratura che deve essere sopra le parti e libera dalle influenze della politica; tale potere deve essere diviso dagli altri due poteri, quello legislativo e quello esecutivo, infatti se tutti e tre  fossero uniti nelle mani di una sola persona, non ci sarebbe la libertà poichè il detentore di essi risulterebbe un oppressore.

La Camera dei Deputati
La Camera dei Deputati

L’idea di dividere i tre poteri venne all’autore francese, sempre moderno anche ai nostri giorni, Montesquieu, che a metà del XVIII secolo affermava che: “E neppure vi è libertà, se il potere giudiziario non è separato da quello legislativo, se esso fosse unito al potere legislativo, il potere sulla vita e sulla libertà dei cittadini sarebbe arbitrario perchè il giudice sarebbe al tempo stesso legislatore, se fosse unito al potere esecutivo, il giudice potrebbe avere la forza di un oppressore”. (Montesquieu, Spirito delle leggi, 1748).

Le leggi trovano la loro applicazione nell’esecuzione di quanto stabiliscono e nella punizione di coloro che le violano.

Il fine delle pene, che devono essere quanto più giuste possibili, è quello di rieducare il colpevole ed impedirgli di arrecare altri danni alla società, inoltre la pena del reo dovrà servire da monito a tutti coloro che volessero  infrangere le leggi.

Dall’Illuminismo ad oggi si continua a riflettere su tali questioni. Beccaria ne parla nella sua opera più importante “Dei delitti e delle pene”, affermando che: “Il fine dunque non è altro che d’impedire al reo dal far nuovi danni ai suoi cittadini e di rimuovere gli altri dal farne uguali.” (Cesare  Beccaria,Dei delitti e delle pene, 1764“.

In un periodo storico, il 1700, in cui le Istituzioni apparivano  violente quanto i malfattori, Beccaria riteneva inoltre che fosse inutile la pena di morte poichè non è la durezza della pena a scuotere l’animo dei cittadini ma la certezza della pena.

E’ dovere dello Stato, per quanto possibile,  prevenire i delitti garantendo la più equa e giusta condizione sociale a tutti i suoi cittadini perchè, chi non può vivere per l’indigenza, talvolta è quasi costretto ad evadere la legge.

Per prevenire i reati è  necessario educare al senso civico ma occorre anche dare ai cittadini la consapevolezza che il colpevole avrà la certezza della pena, pertanto ciò che sosteneva Beccaria nel XVIII secolo è ancora attuale e lo sarà per tutti i tempi.

Per il magistrato Elvio Fassone l’espressione “certezza della pena” ha un preciso significato, cioè: “Il cittadino che tiene una certa condotta deve sapere se essa costituisca reato oppure no e, in caso positivo, quali sono le sanzioni previste. La pena è certa quando nè il reato nè la sua misura sono frutto dell’immaginazione (Elvio Fassone, Fine pena:ora, Sellerio, 2015)”.

Lo Stato quindi deve regolare la vita della società avvalendosi del potere conferitogli dai cittadini al fine di conservare il benessere comune.

                                                                                                     Andrea Meli Vaccarini CT