La legge “certa” e uguale per tutti, senza essere sottoposta a varie interpretazioni.
Nella società attuale alcuni valori fondamentali come, ad esempio, quelli di giustizia, libertà e uguaglianza possono essere raggiunti solo attraverso il rispetto e la tutela dei diritti naturali dell’uomo, in una società lontana da qualsiasi forma di corruzione.
Infatti, per evitare l’ingiustizia è necessario avere determinate regole che devono essere rigorosamente seguite e applicate sia da parte dei cittadini sia da coloro che governano lo Stato. Ad esempio oggi si parla spesso di “certezza della pena”. Questa espressione, come afferma Elvio Fassone in “Fine pena ora” (Sellerio, 2015, pag 155), costituisce un aspetto fondamentale, in quanto il cittadino che tiene una certa condotta ha il diritto di sapere se sta commettendo un reato o no e, di conseguenza, le eventuali sanzioni previste. Come affermato anche dall’articolo 25 della nostra Costituzione , nessuno può essere punito o sottoposto a misure di sicurezza se il fatto commesso è accaduto prima che una legge sia entrata in vigore. Quindi sarebbe opportuno non rendere retroattiva una legge per un reato già commesso, così come sarebbe preferibile evitare di concedere a chiunque la facoltà di irrogare le pene. Quest’ultime, infatti, devono rispettare solo ed esclusivamente la Costituzione. Il loro fine, inoltre, come afferma Cesare Beccaria, in ” Dei delitti e delle pene”
( cap. XII,Fine delle pene), non deve essere quello di tormentare ed affliggere il condannato, ma quello di impedire al reo di ripetere i propri errori, conducendolo ad un percorso graduale opposto a quello che lo ha spinto a commettere il reato, ovvero ad una presa di coscienza del male commesso ed al tentativo di ricostruire la propria esistenza perfino dentro il carcere. La società, infatti, come affermato nell’articolo 27 della Costituzione, non deve abbandonare il carcerato, ma avviare un processo di rieducazione che permetterà in seguito il suo reinserimento nella società.
Oggi, però, tutto ciò non sempre avviene e molti sono i casi di una giustizia imbelle, caratterizzata da giudici incompetenti o corrotti.
Vi sono, infatti, numerose interpretazioni della legge, come affermato da Cesare Beccaria in “IV. Interpretazione delle leggi, Dei delitti e delle pene”(1764). Ciascun uomo ha il proprio punto di vista e non pochi sono i casi di corruzione. Quindi vediamo la sorte di un cittadino modificarsi numerose volte. L’uomo in questione è inoltre costretto al passaggio da un tribunale a un altro e quindi ad essere sottoposto alle varie interpretazioni dei giudici. In questo modo non si può raggiungere un verdetto comune e vi è il rischio di non dare la giusta condanna al reo. Ne conseguono sentenze diverse che hanno come esito quello di essere a vantaggio o a svantaggio del colpevole o dell’innocente.
Tuttavia questa forma di ingiustizia potrebbe essere evitata se solo si decidesse a priori un’interpretazione comune da seguire nei vari processi. In questo modo il reo sarebbe sottoposto ad un processo “giusto” sia nei suoi confronti che verso le vittime. La legge, infatti, è uguale per tutti e come tale, non può essere sottoposta a varie interpretazioni.
Quindi se si vogliono tutelare i diritti dell’uomo alla giustizia, alla libertà e all’uguaglianza, bisogna rispettare ciò che è affermato nella Costituzione, senza varie interpretazioni. L’arbitrio, infatti, cioè la facoltà di agire secondo la propria volontà, come afferma Stefano Rodotà in una prefazione a “Dei delitti e delle pene”, “è il più grande nemico della ragione e degli uomini”.
Simone Motta