RICEVIAMO E VOLENTIERI PUBBLICHIAMO:
Oggi sono numerosi i casi di detenzione minorile e vorremmo chiederci in quale misura la pena possa innescare un reale processo di trasformazione nei giovani carcerati. Ci abbiamo provato, incontrando qualche ragazzo che ha avuto esperienze di questo tipo.
Spesso la società muove delle critiche ai detenuti e alle loro famiglie ma bisognerebbe conoscere un po’ meglio le loro condizioni di vita e la loro mentalità per intervenire in maniera corretta. Ci siamo mai chiesti quale sia la loro opinione riguardo la condizione carceraria? «Villeggiatura»; è questa la risposta data con ferma convinzione da chi, dopo aver compiuto un reato, è condannato a scontare un periodo in carcere. La detenzione non viene vissuta come una punizione o un processo di rieducazione, quale dovrebbe essere per comprendere la gravità delle azioni commesse, ma come una vacanza, un’esperienza che ogni uomo che “vale” deve vivere, quasi un titolo d’onore da aggiungere al proprio curriculum.
In carcere, per i veri duri, cambia la percezione di ciò che è giusto e i valori vengono ribaltati: ciò che per gli altri è valore, come l’istruzione, l’educazione e il rispetto, viene visto come segno di debolezza e vergogna, mentre ciò che rappresenta vergogna, come la violenza, la delinquenza e l’assenza di rispetto verso persone, animali o cose, viene considerato motivo d’orgoglio e d’onore. Solo un uomo con queste qualità è da considerarsi tale. «Non è reato né sbagliato se lo si fa per sfamare la famiglia», questa è la loro giustificazione, dove però per “sfamare” si intende la soddisfazione dei bisogni dettati dalla moda: acquistare vestiti rigorosamente firmati, macchine costose, cellulari all’avanguardia e frequentare i luoghi più in vista. Anche questa è cultura mafiosa e può essere estirpata solo con un profondo lavoro di educazione, con la proposta di valori alternativi. E non è facile.